Questo editoriale l’ho scritto in occasione del centenario della nascita di una ‘figura’ a me molto cara, don Lorenzo Milani (27 Maggio 1923) e condivido alcuni pensieri…
Papa Francesco -nel 2017 durante la visita a Barbiana- ha citato una frase della famosa "Lettera a una professoressa” scritta da Don Milani: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è avarizia". "Questo - ha commentato - è un appello alla responsabilità". "Ridare ai poveri la parola - ha poi aggiunto - perché senza la parola non c'è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani”.
La figura del priore di Barbiana ancora brucia, nonostante i numerosi tentativi di neutralizzare gli spigoli più aspri della sua testimonianza. Don Lorenzo “trasparente e duro come un diamante” (definizione detta da don Raffaele Bensi suo Padre Spirituale) continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa , come ha affermato lo stesso Papa, ed il suo gesto di inginocchiarsi alla povera tomba di questo prete così amato e contestato “non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa”.
Don Milani è, da sempre, una figura controversa e complessa, capace di suscitare simpatie, ma anche critiche feroci, tanto per le idee professate quanto per i metodi utilizzati, nella vita e nella sua attività pedagogico-pastorale-caritativa. Il suo amore per la libertà, di pensiero e di azione, hanno fatto scuola, tracciando un percorso originale ed eccentrico, in seno alla Chiesa stessa. Nella sua breve esistenza (morirà a soli quarantaquattro anni, nel 1967) visse in prima persona le tristi pagine del ventennio fascista, gli orrori della seconda guerra mondiale, il progressivo affermarsi del capitalismo liberale, le tensioni della guerra fredda e l’avventura epocale del Concilio Vaticano II.
La grande passione che il giovane Lorenzo aveva a lungo coltivato era stata l’arte, soprattutto la pittura, quale via per raggiungere l’Assoluto. Ma l’arte non era stata in grado di placare quella sete di realtà e di verità che lo attanagliava nel profondo dell’anima. Giunse così ad una rivelazione esistenziale: il “disegno” è di un Altro ma ciò non priva l’uomo della responsabilità, spronandolo, invece, a far propria una scelta di vita coerente, da giocarsi nelle concrete relazioni con gli altri. L’uomo è una creatura relazionale, aperta a Dio e al mondo.
Don Milani fu sì un radicale, perché si interrogava criticamente sul senso del proprio agire, abbracciando appieno una scelta di vita, innamorandosene. Rifiutò le scelte facili o quelle segnatamente contraddistinte dal solo criterio dell’efficacia: qualsiasi progresso sociale o civile non può e non deve prescindere dalla giustizia e dalla salvaguardia della dignità umana. Fu l’amore, un amore concreto e incarnato, il pungolo che lo spronò, orientandolo nel cammino. Il Priore di Barbiana intravide nell’educazione la testimonianza della carità e il luogo decisivo dove realizzare questo amore, questa comunione tra uomini. Una carità da non intendersi come un concetto astratto e generale, riguardante un’umanità generica e lontana, ma il concreto interesse, la passione, l’attenzione e la preoccupazione che si realizzano in un preciso momento storico nei confronti di un limitato numero di persone. Coerente con questa sua convinzione, Don Milani si adoperò per istituire scuole popolari (a San Donato e a Barbiana) rivolte agli emarginati, a coloro che, gravati da povertà e miseria socio-culturale, veniva negata persino la possibilità di esprimersi. La missione di don Milani fu quella di restituire agli ultimi la Parola (scritta volutamente con la maiuscola iniziale). La Parola è ciò che caratterizza l’uomo, lo apre alla dimensione del pensiero e dell’autentica libertà. La Parola è dono di Dio: Gesù stesso è il Verbo. Secondo don Lorenzo il maestro è colui che libera la capacità di espressione della persona che gli viene affidata e il vero educatore non cessa mai di sentirsi in debito: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che loro credevano di stare imparando da me, son io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere” (Esperienze pastorali, cap. 3).
Don Lorenzo è stato capace di essere concretamente ‘Chiesa in uscita’, così come Papa Francesco più e più volte invita a fare oggi, per esprimere le sue idee e cercare un cambiamento concreto nella società; Egli, cosi, ci lascia una “traccia luminosa” del suo operato e del suo pensiero.
A mio personale parere, la sua autenticità è un modello che, nella debita forma, può essere riproposto anche alla Chiesa di oggi: “Non bisogna fare proselitismo tra le genti, ma testimonianza attraverso le nostre azioni di ciò che il Vangelo insegna”. Tanto è vero che lo stesso Francesco si è congedato dalla folla di fedeli a Barbiana con questa frase: “Pregate per me, affinché possa anche io seguire l’esempio di don Lorenzo Milani, di questo bravo prete”.
Don Moreno